Da una lezione tenuta dal dott. Mauro Mantovani - Immunologia

06.11.2021

Un piccolo gruppo di Medici Italiani che vuole comprendere a fondo il nostro sistema immunitario.
La lezione è tenuta da uno dei migliori professori universitari italiani.
Fondatore dell'Accademia di Immunologia integrata.
Qui sotto l'estratto su cui ragionare...
Tutto corredato ovviamente da bibliografia come ogni lavoro scientifico esige.
Linfociti T effettori e della memoria e Immunità eterologa o cross-reattiva.»

Durante l'infezione virale, sia il braccio umorale (Linfociti B che maturano in plasmacellule per poi produrre anticorpi solubili e circolanti) che quello cellulare (Linfociti T CD4+ e Linfociti T CD8+ oltre ad altri) del sistema immunitario adattativo e specifico contribuiscono all'eliminazione e/o al controllo del virus nell'ospite (vi sono altre "difese" del sistema innato aspecifico come i Linfociti Natural Killer che agiscono nei primordi del contagio/infezione). Le cellule T CD4+ e CD8+ virus-specifiche producono citochine effettrici ed esercitano attività citotossica (CD4 in maniera indiretta, CD8 in maniera diretta), mentre gli anticorpi neutralizzanti interferiscono direttamente con l'ingresso virale all'interno delle cellule ospiti. Tuttavia, i ruoli delle cellule T CD4+ e CD8+ specifiche per SARS-CoV-2 sono stati evidenziati meno spesso dei ruoli degli anticorpi neutralizzanti nell'attuale pandemia di COVID-19.

I vaccini COVID-19 sono stati approvati da dicembre 2020 e hanno iniziato a essere somministrati alle popolazioni di tutto il mondo. Tuttavia, c'è la preoccupazione che l'emergere di varianti di SARS-CoV-2 che sfuggono agli anticorpi neutralizzanti indotti dal vaccino possa annullare gli effetti degli attuali vaccini COVID-19.

Si è parlato molto degli anticorpi ma è importante riconoscere che affinché le persone mantengano l'immunità al virus nel tempo, sono necessarie buone risposte delle cellule T e B e del loro rispettivo ruolo della "memoria".

Ci sono infatti prove che le persone non otterranno l'immunità a lungo termine attraverso la circolazione di anticorpi neutralizzanti circolanti. Piuttosto, sarà probabilmente fornito da un "pool" di Cellule T e B, denominate, appunto, della "memoria". Uno studio pubblicato il 18 giugno su Nature Medicine ha mostrato come, in una coorte di 74 pazienti COVID-19 sintomatici e asintomatici, gli anticorpi siano diminuiti drasticamente nella maggior parte di queste persone dopo pochi mesi. Questi individui potrebbero essere in grado di produrre di nuovo rapidamente anticorpi se vengono infettati, tuttavia, grazie alle loro cellule T e B. È un po' come avere a disposizione i vigili del fuoco: in questo modo, non hai bisogno che i vigili del fuoco siano sempre sul posto nel caso in cui scoppiasse un incendio.

E' stato recentemente appurato, altresì, in una review pre-pandemia, datata 2018 sulla prestigiosa rivista Nature che anche gli anticorpi posseggono un ruolo fondamentale nella protezione da virus "varianti" dal ceppo originario. Questo fenomeno è stato spiegato in diversi lavori precedenti (tra il 2013 e il 2017), in cui si è evidenziato il ruolo dei Linfociti B della memoria che scaturiscono da un primo incontro con l'agente infettivo e che posseggono una "adattabilità" di repertorio anticorpale che protegge anche da una possibile re-infezione con un altro agente infettivo simile ma "mutato" o addirittura con un altro agente infettivo non appartenente alla stessa specie ma con "regioni omologhe".

D'altro canto è possibile che alcune persone abbiano acquisito l'immunità basata sulle cellule T (Linfociti T) al virus SARS-CoV-2 da altre infezioni precedenti.

Il 15 luglio 2020, uno studio su Nature ha descritto prove di immunità a SARS-CoV-2 in 23 pazienti che avevano precedentemente contratto il virus SARS (SARS-CoV-1) 17 anni prima.

Ciò si basava sul fatto che quegli individui conservavano cellule T CD4+ e CD8+ di lunga durata che gli autori hanno mostrato producevano una citochina chiamata interferone-gamma (IF-gamma) quando esposte alla proteina nucleocapside (N o NCp) del virus SARS-CoV-2. Ciò suggerisce che le cellule T di quelle persone sono state "preparate" per aiutare a respingere SARS-CoV-2.

Gli autori hanno persino trovato cellule T specifiche per SARS-CoV-2 in altri 37 pazienti che non avevano una storia di SARS, COVID-19 o contatti con persone che avevano avuto quelle malattie.

Le cellule T CD4+ e CD8+ lavorano con altri costituenti di una risposta immunitaria coordinata alla prima risoluzione.

Un'attenta delineazione della frequenza, specificità, funzionalità e durata delle cellule T durante COVID-19 è fondamentale per capire come usarli come biomarcatori.

Altri lavori recenti, riferiscono una risposta delle cellule T robusta e diversificata che mira a più regioni strutturali e non strutturali di SARS-CoV-2 nella maggior parte dei casi risolti, indipendentemente dal fatto che l'individuo abbia avuto un'infezione lieve o grave.

Tali risposte multi-specifiche delle cellule T sono adatte (da qui il termine immunità adattativa) a fornire una forma sicura di protezione "multistrato", mitigando la fuga virale (mediante meccanismi di mutazione o diversità di presentazione dell'antigene).

La risposta immunitaria diretta contro SARS-CoV-2 risulta essere più ampia di quella osservata dopo l'infezione con SARS-CoV-1, in cui le cellule T sono in gran parte specifiche per la Spike. Una scoperta chiave di Peng et al. è che l'ampiezza della risposta delle cellule T è maggiore in quelli che avevano COVID-19 più grave. Tuttavia, la proporzione della risposta delle cellule T attribuibile alle cellule T CD8+ (piuttosto che CD4+) è aumentata nelle infezioni lievi, in linea con i risultati di un altro studio, che ha mostrato una maggiore percentuale di cellule T CD8+ attivate e proliferanti in COVID-19 lieve rispetto a quello grave. Questi risultati suggeriscono un ruolo protettivo per le cellule T CD8+ specifiche per SARS-CoV-2, che è ulteriormente supportato dalla maggiore proporzione di cellule T CD8+ espanse clonalmente nel polmone infetto nella malattia lieve.

Uno dei motivi per cui alcune persone potrebbero avere un vantaggio nella corsa contro il virus è la presenza di risposte delle cellule T preesistenti (istigate da un precedente coronavirus o

altra infezione) in grado di riconoscere SARS-CoV-2 e di entrare immediatamente in azione. Tali cellule T cross-reattive sono state osservate nel 20-50% degli individui in alcune coorti COVID-19

C'è qualche controversia derivante da recenti studi per quanto riguarda la velocità di diminuzione dell'anticorpo e la sua rilevanza nei confronti dei linfociti B di memoria, che, se persistenti e funzionali, dovrebbero ricostituire la risposta umorale al re-incontro del virus (vedi articoli sopra).

Si prevede che le risposte delle cellule T le sosterranno più a lungo, ma anche le piccole popolazioni di memoria persistenti possono espandersi rapidamente dopo il re-challenge. A differenza degli anticorpi, le cellule T non possono bloccare l'infezione de novo perché riconoscono il virus solo una volta che le cellule infette presentano peptidi virali e quindi è improbabile che forniscano un'immunità sterilizzante. Ma le cellule T di memoria possono assorbire tutte le cellule infette che sono "scivolate" attraverso un primo strato di difesa normalmente fornito dagli anticorpi. Pertanto, la memoria delle cellule T al momento della riesposizione può impedire lo sviluppo di malattie gravi o può persino portare all'interruzione dell'infezione subclinica. In modo promettente, l'infezione naturale da SARS-CoV-2 nei macachi, che genera sia anticorpi che cellule T, si traduce in una protezione dal re-challenge.

Tuttavia, in linea di principio, è più difficile eludere le risposte delle cellule T rispetto a una risposta anticorpale neutralizzante perché più epitopi (determinanti antigenici, ovvero quella porzione di antigene che viene riconosciuta dai Linfociti) delle cellule T sono sparsi tra le proteine virali, mentre l'anticorpo neutralizzante prende di mira una regione ristretta nella proteina virale. Sebbene siano state segnalate mutazioni SARS-CoV-2 che annullano il legame al complesso maggiore di istocompatibilità (MHC, ovvero il sistema di presentazione del peptide antigenico ai Linfociti per il riconoscimento e la successiva neutralizzazione), Tarke e coll.ri hanno recentemente riportato un impatto insignificante delle varianti SARS-CoV-2 sulle risposte delle cellule T CD4+ e CD8+ nei convalescenti COVID-19. Le risposte delle cellule T alle varianti B.1.1.7, B.1.351, P.1 e CAL.20C (emerse nella California meridionale) non erano diverse da quelle del ceppo "ancestrale" di SARS-CoV-2. La maggior parte degli epitopi delle cellule T SARS-CoV-2 sono stati conservati nonostante le mutazioni nelle varianti.

Il virus SARS-CoV-2, come altri virus che hanno l'RNA come materiale genetico, ha la tendenza a mutare costantemente. Di conseguenza, con il progredire della pandemia di COVID-19 sono emerse numerose varianti di SARS-CoV-2.

Alcune varianti di SARS-CoV-2 hanno mostrato una maggiore trasmissibilità, con la fonte attendibile dell'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) che le ha designate come "varianti di preoccupazione (VOC)."

Questi COV includono alfa (B.1.1.7), beta (B.1.351), delta (B.1.617.2) e gamma (P.1) che hanno avuto origine nel Regno Unito, in Sud Africa, in India e in Brasile, rispettivamente. I Centers for Disease Control and Prevention (CDC) hanno recentemente declassato la variante epsilon (B.1.427/429) originaria degli Stati Uniti da VOC a variante di interesse (VOI).

Una precedente infezione da SARS-CoV-2 o immunizzazione con un vaccino COVID-19 provoca la produzione di anticorpi neutralizzanti da parte dei linfociti B o cellule B. Si legano alla proteina spike del virus e ne inibiscono la capacità di infettare le cellule ospiti.

I COV portano mutazioni sulla proteina spike che gli anticorpi neutralizzanti riconoscono, riducendo potenzialmente l'immunità degli individui vaccinati a queste varianti.

Ad esempio, il vaccino AstraZeneca è efficace contro la variante alfa ma mostra un drastico calo dell'efficacia contro la variante beta. Inoltre, la variante beta ha anche mostrato una ridotta suscettibilità agli anticorpi neutralizzanti negli studi clinici che coinvolgono lo stesso vaccino.

Il modo in cui le nuove varianti possono sfuggire agli anticorpi neutralizzanti ha sollevato preoccupazioni sulla capacità dei vaccini di proteggere dalle varianti attuali e future.

Tuttavia, esiste un altro componente del sistema immunitario che coinvolge i linfociti T o le cellule T. Esistono due principali sottotipi di cellule T: cellule T CD4+ e cellule T CD8+.

Le cellule T CD4+, note anche come cellule T helper, rilasciano proteine chiamate citochine che aiutano a montare una risposta immunitaria attivando altre cellule immunitarie.

D'altra parte, le cellule T CD8+, o cellule T citotossiche, uccidono direttamente le cellule infettate da virus.

Entrambe le risposte delle cellule T CD4+ e CD8+ hanno collegamenti con una ridotta gravità della malattia, il che significa che possono svolgere un ruolo vitale nel recupero da COVID-19.

Gli individui vaccinati, coloro che hanno precedentemente contratto il virus ma anche chi non ha avuto infezione da Sars-CoV-2 avrebbero cellule T che riconoscono la variante originale di SARS-CoV-2 isolata a Wuhan. Tuttavia, gli scienziati non sapevano se queste cellule T avrebbero risposto anche ai VOC SARS-CoV-2.

In altre parole, mentre alcuni VOC possono eludere gli anticorpi neutralizzanti prodotti dalle cellule B dopo la vaccinazione, il loro effetto sulla risposta delle cellule T non era noto.

Sebbene l'entità della risposta delle cellule T ad alcuni VOC fosse inferiore a quella della variante originale, il declino è stato modesto.

I risultati dello studio suggeriscono che l'attivazione delle cellule T dopo la vaccinazione può offrire protezione contro i VOC, nonostante la loro capacità di sfuggire alla neutralizzazione da parte degli anticorpi. Un nuovo studio, pubblicato il 1° luglio 2021 su Cell Reports Medicine, mostra che sia le cellule T CD4+ "helper" che le cellule T CD8+ "killer" possono ancora riconoscere forme mutate del virus. Questa reattività è la chiave per la complessa risposta immunitaria del corpo al virus, che consente al Sistema Immunitario di uccidere le cellule infette e fermare le infezioni gravi.

I ricercatori sottolineano che lo studio affronta solo il modo in cui le cellule T del corpo rispondono alle varianti di preoccupazione (VOC). I ricercatori sottolineano che molte di queste varianti sono collegate a livelli più bassi di anticorpi anti-virus.

"Queste varianti sono ancora una preoccupazione, ma il nostro studio mostra che anche se c'è una diminuzione degli anticorpi, come hanno dimostrato altri studi, le cellule T rimangono in gran parte inalterate", afferma l'autore LJI Alba Grifoni, Ph.D.

Sia i soggetti recuperati che i soggetti vaccinati avevano probabilmente cellule T che riconoscevano la "linea ancestrale" di SARS-CoV-2. Questo era il ceppo originale emerso all'inizio della pandemia; tuttavia, il virus è mutato da dicembre 2019 e diverse varianti sono state identificate come VOC.

Nella ricerca per fermare la pandemia da Sars-CoV-2 mediante la vaccinazione, ci si è concentrati "miopemente" sull'induzione di anticorpi contro la proteina spike. Poiché sono emerse varianti (soprattutto sulla proteina spike) di SARS-CoV-2 che riducono la capacità di tali anticorpi di bloccare l'infezione, è sorta la preoccupazione che non saremmo stati in grado di fermare la malattia. Tali preoccupazioni sembrano ignorare l'altro importante braccio della risposta immunitaria adattativa: le cellule T.

Gli anticorpi antivirali possono prevenire l'infezione delle cellule, ma quando i titoli anticorpali sono bassi, mesi o anni dopo l'infezione o la vaccinazione, alcune cellule saranno inevitabilmente infettate (specialmente da una "variante" che elude queste difese). In questo caso, le cellule T vengono in soccorso. Le cellule T citotossiche possono percepire che una cellula è infetta e ucciderla. Le cellule T rilevano le cellule infette in virtù dei peptidi virali che sono presentati dalle principali molecole di istocompatibilità sulla membrana plasmatica. Tali peptidi delle cellule T possono essere prodotti da quasi tutte le proteine virali. Al contrario, solo alcune proteine virali, come la "spike" di SARS-CoV-2, possono dare origine ad anticorpi che bloccano l'infezione.

La risposta delle cellule T all'infezione da SARS-CoV-2 è stata ampiamente ignorata nell'ultimo anno. Certamente, alcuni laboratori hanno studiato le risposte delle cellule T nei pazienti e i produttori di vaccini le hanno diligentemente incluse insieme ai test per gli anticorpi neutralizzanti. Ma le varie condivisioni tra scienziati e ricercatori non hanno mai incluso le cellule T nei diversi punti di vista per la risoluzione della malattia, ma lo sono per la maggior parte delle infezioni virali. Poiché le cellule T possono uccidere le cellule infette da virus, possono aiutare a prevenire la malattia e porre fine all'infezione.

La recente scoperta che i cambiamenti degli aminoacidi nella proteina spike delle varianti SARS-CoV-2 non influiscono sulla reattività delle cellule T è un'ottima notizia. In questo studio, gli autori hanno sintetizzato brevi peptidi che coprono l'intero proteoma di più isolati di SARS-CoV-2, incluso il ceppo Wuhan-1 originale e le varianti B.1.1.7, B.1.351, P.1 e CAL.20C. Hanno trovato poche differenze nella capacità delle cellule T di pazienti convalescenti o vaccinati di riconoscere i peptidi di questi virus.

Questo risultato significa che è improbabile che i cambiamenti degli aminoacidi nelle varianti influiscano sulla capacità delle cellule T di eliminare l'infezione.

È altamente improbabile che la vaccinazione prevenga l'infezione da SARS-CoV-2. I livelli anticorpali diminuiscono rapidamente dopo l'infezione o la vaccinazione, specialmente nella mucosa respiratoria. Quando un virus entra nel rinofaringe di un individuo immune, incontrerà poca opposizione anticorpale e avvierà un'infezione. Tuttavia, le cellule B e T della memoria entreranno in azione e nel giro di pochi giorni produrranno anticorpi e cellule T virus-specifici. Gli anticorpi limiteranno l'infezione mentre le cellule T elimineranno le cellule infettate dal virus. Il risultato è un'infezione lieve o asintomatica che probabilmente non viene trasmessa ad altri.

Le recenti osservazioni secondo cui la vaccinazione sembra prevenire le infezioni asintomatiche è una falsa pista. Questi studi vengono condotti subito dopo la vaccinazione quando i livelli di anticorpi nel siero e nella mucosa sono elevati. Se questi studi fossero condotti un anno dopo l'immunizzazione, i risultati sarebbero molto diversi.

Ora immagina di essere completamente vaccinato e di essere stato infettato da una variante SARS-CoV-2. Il virus può iniziare a riprodursi piuttosto bene nel rinofaringe (e non solo) anche di fronte a una risposta di memoria, perché gli anticorpi non sono abbastanza "buoni" per bloccare l'infezione.

Gli epitopi delle cellule T sulla superficie delle cellule infette sono facilmente riconoscibili perché sono principalmente gli stessi nelle varianti del ceppo ancestrale di SARS-CoV-2. Si potrebbe avere un'infezione e una sintomatologia lieve ma con ogni probabilità senza essere ricoverati in ospedale o con decesso. Perché gli epitopi riconosciuti dalle cellule T non cambiano come gli epitopi riconosciuti dalle cellule B (nella loro parte "effettrice" ovvero gli anticorpi)? L'epitopo riconosciuto dalle cellule B è "semi-conservativo" in tutti e quindi se un virus emerge con un epitopo leggermente diverso, eluderà l'anticorpo in chiunque sia infetto da quel virus (ora sappiamo che anche gli anticorpi potrebbero dare una sorta di protezione in caso di variazioni). Gli epitopi presentati alle cellule T sono diversi. Questi epitopi vengono presentati alle cellule T sulla superficie cellulare infetta da molecole MHC, che sono codificate da geni altamente polimorfici (non omologhi). Ciò significa che il tuo MHC è probabilmente diverso dal mio, e così saranno i peptidi virali visualizzati in essi.

È possibile che SARS-CoV-2 continui a produrre proteine spike alterate che eluderanno completamente la neutralizzazione anticorpale. La nostra fretta di produrre vaccini - comprensibile data l'urgenza - ci ha portato a una situazione del genere. La maggior parte dei vaccini si basava solo sulla proteina spike. Se cambiamo la proteina spike per adattarsi alle varianti, potremmo entrare in un ciclo infinito di cambiamenti.

L'Immunità eterologa è un termine usato per descrivere l'immunità parziale (o immunopatologia alterata) che si verifica in risposta a un patogeno se l'ospite è stato precedentemente infettato o immunizzato con un patogeno non correlato. In alcuni casi, l'immunità eterologa è attribuita alle cellule T che reagiscono in modo incrociato con entrambi i patogeni.

La crossreattività delle cellule T è stata documentata tra due epitopi della stessa proteina virale, tra epitopi di proteine diverse dello stesso virus e, cosa più importante, tra epitopi di proteine di virus diversi. Sono stati documentati molti esempi di crossreattività delle cellule T tra virus e questa crossreattività può, forse senza sorprese, verificarsi tra virus geneticamente correlati all'interno di gruppi di virus, come arenavirus, flavivirus (dengue), poliomavirus, hantavirus e orthomyxovirus (influenza A) ed ora anche nei coronavirus.

Più sorprendentemente, la reattività crociata delle cellule T è stata trovata tra virus non correlati.

Ad esempio, le cellule T che sono specifiche per gli antigeni distinti del virus dell'influenza A reagiscono in modo incrociato con gli antigeni HCV, HIV-1 ed EBV. Alcune cellule T che sono specifiche per gli arenavirus LCMV e Pichinde virus (PV) cross-reagiscono con gli antigeni del vaccinia poxvirus. Alcune cellule T umane che sono specifiche per un epitopo di coronavirus reagiscono in modo incrociato con un epitopo di papillomavirus. Queste crossreattività potrebbero essere dovute a un alto livello di somiglianza della sequenza di amminoacidi tra gli epitopi, anche se non è sempre così.

Sebbene sia importante identificare le risposte delle cellule T antigene-specifiche nei casi di COVID-19, è anche di grande interesse capire se esiste un'immunità cross-reattiva tra i coronavirus, in qualche misura. Un passo fondamentale nello sviluppo di tale comprensione è esaminare le cellule CD4+ e CD8+T antigene-specifiche nei casi di COVID-19 e nei controlli sani non esposti, utilizzando esattamente gli stessi antigeni. Le risposte delle cellule CD4+T sono state rilevate nel 40%-60% degli individui non esposti. Ciò potrebbe riflettere un certo grado di immunità cross-reattiva e preesistente alla SARS-CoV-2 in alcuni, ma non tutti, gli individui. È chiara l'esistenza di peptidi cross-reattivi e la loro relazione di omologia di sequenza con altri coronavirus.

In uno studio pubblicato nel 2020 su Cell, incredibilmente sono state rilevate cellule CD4+T reattive alla SARS-CoV-2 nel 40%-60% degli individui non esposti, suggerendo il riconoscimento delle cellule T cross-reattive tra i coronavirus circolanti del "raffreddore" e SARS-CoV-2.

Gli esperimenti hanno anche utilizzato pool di peptidi specifici per determinare quali proteine SARS-CoV-2 sono i bersagli predominanti delle cellule umane CD4+ e CD8+T specifiche per SARS-CoV-2 generate durante la malattia da COVID-19. È importante sottolineare che sono state utilizzate le stesse identiche serie di tecniche sperimentali con campioni di sangue di donatori sani di controllo (PBMC raccolti nell'intervallo di tempo 2015-2018), ed è stata osservata una sostanziale memoria cellulare T cross-reattiva di coronavirus. I dati rivelano che il modello di immunodominanza in COVID-19 è diverso. In particolare, le proteine M, spike (S) e N erano chiaramente co-dominanti, ciascuna riconosciuta dal 100% dei casi COVID-19 studiati.

Un altro studio pubblicato nel Dicembre 2020 da Gong e collaboratori, su "The Journal of Clinical Investigation" ha rivelato che i pazienti che si sono ripresi da COVID-19 hanno prodotto robusti anticorpi contro SARS-CoV-2, che hanno richiesto la partecipazione delle cellule T e B. I pazienti convalescenti COVID-19 che sono stati recentemente dimessi dall'ospedale, avevano le cellule T helper CD4+ periferiche più attivate come cellule di memoria effettrici. Di conseguenza, gli autori hanno dimostrato che i pazienti convalescenti avevano una maggiore frequenza di cellule cTfh Linfociti T helper follicolari, un sottotipo di Linfociti CD+ essenziale per attivare i Linfociti B e quindi la rispsota poi anticorpale) di memoria effettrice. Un sottoinsieme di cellule cTfh, le cellule CXCR3+ cTfh1, si correla positivamente con i titoli IgG e IgM specifici del virus nei pazienti convalescenti, il che è in linea con le osservazioni riscontrate nelle infezioni da virus dell'influenza, HIV e ZIKA (tutti virus a RNA).

I pazienti convalescenti diagnosticati in condizioni gravi in ospedale hanno mostrato frequenze più elevate di cellule Tem (T effector memory) e Tfh-em (T follicular helper effector memory) e frequenze inferiori di cellule Tcm (T central memory), Tfh-cm (T follicular helper central memory) e Tnaive rispetto ai pazienti convalescenti diagnosticati in condizioni moderate e lievi.

Lo studio descrive il profilo immunitario dei sottogruppi di cellule T CD4+ periferici e dimostra la stretta associazione tra le cellule Tfh e la produzione di anticorpi virus-specifici nei pazienti convalescenti COVID-19.

Le cellule T CD4+ di memoria forniscono una protezione superiore in caso di reinfezione da virus. I dati hanno suggerito che da 2 a 4 settimane dopo essere stati dichiarati privi di virus, la maggior parte dei pazienti convalescenti ha mostrato una maggiore frequenza di cellule T CD4+

Considerazioni:

Sebbene sia chiaro che le cellule Tfh sono essenziali per una risposta produttiva alla vaccinazione, sono state anche implicate in una serie di condizioni autoimmuni come fattori chiave della malattia. I topi Sanroque hanno una mutazione puntiforme nel gene Roquin1 (Rc3h1) che causa un fenotipo simile al lupus guidato dalle cellule Tfh che supportano i GC in assenza di antigene esogeno. Poiché le cellule B possono acquisire auto-reattività durante l'ipermutazione somatica, i risultati dei topi Sanroque suggeriscono che l'aumento del numero di cellule Tfh può portare a un'interruzione della tolleranza del GC, consentendo la selezione di cellule B autoreattive nel GC. Di conseguenza, diverse condizioni autoimmuni sono state associate ad un aumento delle frequenze di cTfh o hanno una popolazione di cTfh distorta lontano da cTfh1 e verso cTfh2 o cTfh17 o entrambi. Questa è una considerazione importante nel contesto del miglioramento delle risposte Tfh alla vaccinazione, in particolare nelle persone anziane, poiché la presenza di autoanticorpi aumenta con l'età, suggerendo che il pool di cellule B può contenere una maggiore frequenza di cellule B autoreattive in grado di entrare nel GC. Presi insieme, questi studi dimostrano un potenziale rischio di aumentare le frequenze o la funzione delle cellule Tfh nella vaccinazione e indicano che la produzione di autoanticorpi dovrebbe essere presa in considerazione nella progettazione futura dello studio come possibile risultato.

Da uno studio si è visto che alcuni epitopi "montati" su CMV (Citomegalovirus) sono conservati anche su Sars-CoV-2, una porzione di cellule T senescenti reattive al CMV potrebbe cross-reagire con SARS-CoV-2, potenzialmente dando immunità crociata e spiegando o almeno completando in parte il razionale dell'immunità eterologa su Sars-CoV-2.

Ricordo qui, brevemente, che il HCMV (Human Cytomegalo Virus) è un herpesvirus che infetta circa il 60% degli adulti nei paesi sviluppati e oltre il 90% nei paesi in via di sviluppo.

È altresì, risultato evidente da uno studio epidemiologico e immunologico pubblicato nel Luglio 2021 come la popolazione della città metropolitana di Stoccolma (Svezia) che consta di circa 2.400.000 abitanti risultasse immune al 90% verso sars-cov-2 dopo la prima ondata epidemica. Questo risultato è la somma dell'immunità già naturalmente acquisita (circa 65%) pre-pandemica per effetto dell'immunità eterologa sopra descritta e l'immunità acquisita per effetto della reazione del sistema immune all'incontro con il virus (circa 25%).

Un'altra considerazione alla luce di quanto sopra esposto giunge quasi spontanea.

Nei trials clinici per la valutazione dell'efficacia dei costrutti vaccinali si è reclutata la coorte di popolazione a cui faceva seguito il trattamento farmacologico senza preoccuparsi di "discriminare" gli individui già immuni e non immuni verso SARS-CoV-2.

Questo, dal mio punto di vista (ma penso che sia inconfutabile), riduce notevolmente il razionale sull'efficacia OGGETTIVA dei vaccini.

Se un soggetto è già immune "de facto" e lo si vaccina, quali sono i risultati?

Per un'evidenza chiara ed incontrovertibile sull'efficacia di un vaccino che dovrebbe colmare il "gap" sull'immunità verso un certo agente infettivo, bisognerebbe vaccinare i soggetti che non possiedono alcun tipo di immunità verso quell'agente infettivo, sia da Linfociti T che B che cross-reattivi che della memoria.

E' ovvio, e anche su questo punto penso che non vi siano contraddizioni, che un soggetto già immune che viene vaccinato il risultato è che è immune, SEMPLICEMENTE PERCHE' LO ERA GIA' DI SUO!!!

Analisi delle cellule T su sangue.

Risulta quindi importante, anzi, fondamentale determinare l'immunità cellulare dei soggetti, sia mai esposti ad infezione sintomatica, sia positivi ma non sintomatici, sia esposti ad infezione e guariti, sia in soggetti vaccinati (e di questi ultimi anche chi si è infettato ed eventualmente malato).

Ciò è doveroso per il rispetto delle funzioni del sistema immunitario, che non ama gli eccessi e che in individui predisposti potrebbe portare ad una serie di gravi immunopatologie correlate.

Immunità NON significa garanzia di assenza di sintomi legati all'infezione, ma è sinonimo (in condizioni normali) di protezione da sintomatologia e/o malattia grave. Il fatto di avere uno "scudo" cellulare è di estrema importanza, non solo per l'individuo ma anche e soprattutto per la collettività, dato che il sistema di difesa cellulare protegge l'organismo stesso e limita la diffusione del patogeno (anche se variato rispetto all'agente infettivo iniziale), portando ad una produzione "ex-novo" di anticorpi neutralizzanti. In questo caso si spiega come sia le persone mai infettate, sia quelle infettate asintomatiche, sintomatiche ed anche malate, siano state dichiarate "IMMUNI", quindi non solo per la produzione di anticorpi specifici e neutralizzanti ma anche e soprattutto per una immunità cellulo-mediata in alcuni casi GIA' esistente (fenomeno della immunità eterologa).

Sotto viene riportata la metodica (già validata) e le sottopopolazioni linfocitarie, sia effettrici che della memoria, oggetto della presente indagine che ci auguriamo venga annoverata nel quadro di valutazione dell'immunità.

Da notare anche la possibilità, non secondaria, di valutare la presenza e l'intensità di IF-gamma, essenziale sia per la risposta Th1 efficace (che poi dà il via alla risposta effettrice macrofagica di tipo M1, alla maturazione dei CD8+ in CTL e alla risposta dei Linfociti NK) che alla risposta Tfh in senso Tfh1, fenotipo essenziale per la conseguente produzione di IgG ad alta affinità antigenica.

Conclusioni.

Diversi rapporti indicano un'immunità di breve durata contro i coronavirus endemici, che contrasta con i ripetuti rapporti che nel nostro organismo vi siano cellule T reattive SARS-CoV-2 anche prima dell'epidemia a Wuhan. Ciò suggerisce che esiste una memoria delle cellule T preformate in individui non esposti al virus pandemico. Data la somiglianza di SARS-CoV-2 con altri membri della famiglia Coronaviridae, i coronavirus endemici sembrano candidati probabili per generare questa memoria delle cellule T. Tuttavia, data l'apparente scarsa memoria immunologica creata dai coronavirus endemici, un'altra immunità contro altri patogeni comuni potrebbe offrire una spiegazione alternativa.

Per quanto riguarda il valore delle cellule T cross-reattive, l'immunologia della malattia influenzale in relazione alle pandemie può essere istruttiva. Nel contesto della pandemia influenzale H1N1 del 2009, esisteva un'immunità preesistente a carico delle cellule T nella popolazione adulta, che si concentrava sulle proteine virali influenzali "interne" più conservate. La presenza di cellule T cross-reattive è risultata correlata a malattie meno gravi. La frequente disponibilità di risposte delle cellule T di memoria cross-reattive potrebbe essere stato un fattore che ha contribuito alla minore gravità della pandemia influenzale H1N1. L'immunità cross-reattiva ai ceppi influenzali è stata modellata per essere un fattore critico di suscettibilità ai ceppi influenzali emergenti, potenzialmente pandemici. Tutte le Cellule T, sia prese singolarmente nella loro specifica azione, sia nella totalità di un coordinamento fine e magistralmente dinamico vanno prese in considerazione, non dimenticando che l'ipo e/o l'per regolazione può portare ad un disequilibrio pericoloso ed a volte irreversibile con danni anche sistemici all'intero organismo.

Data la gravità della pandemia di COVID-19 in corso, è stato ipotizzato che qualsiasi grado di immunità al coronavirus cross-protettiva nella popolazione potrebbe avere un impatto sostanziale sul corso generale della pandemia e sulla dinamica dell'epidemiologia per gli anni a venire.

Bibliografia (link)

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https://www.nature.com/articles/s41577-020-0389-z 

https://www.science.org/doi/10.1126/science.abd3871 

https://journals.plos.org/plospathogens/article?id=10.1371/journal.ppat.1009842 

https://www.researchgate.net/publication/341511791_Targets_of_T_cell_responses_to_SARS-CoV-2_coronavirus_in_humans_with_COVID-19_disease_and_unexposed_individuals 

https://link.springer.com/article/10.1007/s12250-021-00348-0 

https://www.nature.com/articles/s41590-020-0782-6 

https://www.nature.com/articles/s41467-021-22036-z 

https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/fimmu.2021.684014/full 

https://academic.oup.com/ooim/article/2/1/iqab006/6146940 

https://www.nature.com/articles/s41590-020-00808-x 

https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/fimmu.2020.586984/full 

https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/fimmu.2020.571481/full 

https://www.mdpi.com/2227-9059/9/10/1342/htm 

https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/fimmu.2020.00334/full 

https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S2666379120302445 

https://www.medrxiv.org/content/10.1101/2021.07.07.21260167v1 

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/32839763/ 

Trial clinici dei vaccini.

https://clinicaltrials.gov/ct2/show/NCT04283461;  https://clinicaltrials.gov/ct2/show/NCT04847102;  https://clinicaltrials.gov/ct2/show/NCT04958304;   https://clinicaltrials.gov/ct2/show/NCT04848584; 

Conclusioni.

Diversi rapporti indicano un'immunità di breve durata contro i coronavirus endemici, che contrasta con i ripetuti rapporti che nel nostro organismo vi siano cellule T reattive SARS-CoV-2 anche prima dell'epidemia a Wuhan. Ciò suggerisce che esiste una memoria delle cellule T preformate in individui non esposti al virus pandemico. Data la somiglianza di SARS-CoV-2 con altri membri della famiglia Coronaviridae, i coronavirus endemici sembrano candidati probabili per generare questa memoria delle cellule T. Tuttavia, data l'apparente scarsa memoria immunologica creata dai coronavirus endemici, un'altra immunità contro altri patogeni comuni potrebbe offrire una spiegazione alternativa.

Per quanto riguarda il valore delle cellule T cross-reattive, l'immunologia della malattia influenzale in relazione alle pandemie può essere istruttiva. Nel contesto della pandemia influenzale H1N1 del 2009, esisteva un'immunità preesistente a carico delle cellule T nella popolazione adulta, che si concentrava sulle proteine virali influenzali "interne" più conservate. La presenza di cellule T cross-reattive è risultata correlata a malattie meno gravi. La frequente disponibilità di risposte delle cellule T di memoria cross-reattive potrebbe essere stato un fattore che ha contribuito alla minore gravità della pandemia influenzale H1N1. L'immunità cross-reattiva ai ceppi influenzali è stata modellata per essere un fattore critico di suscettibilità ai ceppi influenzali emergenti, potenzialmente pandemici.

Nature Reviews Microbiology (https://www.nature.com/articles/nrmicro2614)

Why do RNA viruses recombine?

Recombination can be an important evolutionary force for RNA viruses, but the rate of recombination varies greatly between different RNA viruses. In this Analysis article, Simon-Loriere and Holmes

Tutte le Cellule T, sia prese singolarmente nella loro specifica azione, sia nella totalità di un coordinamento fine e magistralmente dinamico vanno prese in considerazione, non dimenticando che l'ipo e/o l'per regolazione può portare ad un disequilibrio pericoloso ed a volte irreversibile con danni anche sistemici all'intero organismo. Data la gravità della pandemia di COVID-19 in corso, è stato ipotizzato che qualsiasi grado di immunità al coronavirus cross-protettiva nella popolazione potrebbe avere un impatto sostanziale sul corso generale della pandemia e sulla dinamica dell'epidemiologia per gli anni a venire.


Fonte: Dott.ssa Loretta Bolgan



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